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Baia degli Angeli e....: gennaio 2009

lunedì 5 gennaio 2009

Copyright

I racconti che troverete sul mio Blog fanno parte dei miei cassetti della memoria rivisitati con nostalgia ed offerti a tutti coloro che come me hanno vissuti gli splendidi anni '70..... I loghi ed i marchi pubblicati sul mio blog sono ricavati da foto di vecchi adesivi di mia proprietà riveduti e corretti e la loro pubblicazione è prettamente di carattere storico!!!!! Chi desidera contattarmi può trovarmi anche qui: Facebook

Ricordi del "Villaggio Nuovo"

I miei ricordi del Villaggio Nuovo (quartiere di Rivazzurra di Rimini), dove ho passato tutta la mia infanzia e la mia adolescenza, ritornano in quei luoghi che oggi sono ridotti ad un ammasso di cemento mentre all'epoca (primi anni '60) era una landa desolata ricoperta di erbacce ed arbusti, dove in primavera i campi tutto intorno si riempivano di margherite e viole mammole, dove d'estate la calura riscaldava le mura, dove in autunno si veniva avvolti dalla fitta nebbia e d'inverno sommersi dalle nevicate abbondanti. La ferrovia all'epoca era a livello del suolo e le mamme erano sempre timorose nel lasciarci giocare senza il dovuto controllo, ma poi verso la fine degli anni '60 la rialzarono di circa tre metri e cominciarono a costruire i primi (necessari) sottopassaggi ad iniziare da quello di Viale Catania che fu appunto il primo. Vi racconterò tutto ciò che ricordo riguardo la mia infanzia e la mia adolescenza e le cose nostalgiche che rivivono teneramente in me. I GIOCHI La maggior parte dei nostri giochi li facevamo al mitico "campino" del Villaggio Nuovo (all'incrocio tra via Del Ghirlandaio e quella che ora è Via Piero della Francesca). Come tutti i maschietti dell'epoca le nostre tasche erano sempre ricolme di "figurini" (le figurine), di "palline" (le biglie di vetro), di "tappini" (i tappi delle bottiglie), di "coltellini" fatti coi chiodi (vi spiegherò poi) e non poteva mai mancare, nella tasca posteriore o a tracolla, la mitica "sfrombla" (la fionda) che costruivamo in maniera maniacale in questo modo: per primo si cercava una pianta di olmo o di salice (a volte usavamo anche il pioppo) da dove tagliare l'"archetto" più preciso e una volta ricavata la forma lo mettavamo ad essiccare sulla stufa a legna per renderlo più resistente, poi si "rimediava" una camera d'aria di bicicletta e la si ritagliava: in alcuni punti in maniera orizzontale per ricavarne le strisce elastiche e in altri punti in modo verticale per farne gli "elasticini" che servivano per unire la fionda, in fine si usava un pezzo della tomaia delle vecchie scarpe per farne il contenitore del proiettile da lanciare (di solito erano sassi). Ognuno di noi aveva la propria "pallina" e le proprie "piastre" (capirete meglio seguendo il racconto) e come amuleti le tenevamo nascosti come fosse un tesoro. LE PALLINE (Le biglie) Le palline si dividevano per materiale, per colore e per la grandezza che ne determinava il valore. Il "boccione" era la più grossa e valeva due palline, mentre il "minghino" era la più piccola e valeva mezza pallina. Se si aveva la fortuna di trovare le palline "americane" (se ricordo bene erano di ceramica) significava avere palline di doppio valore rispetto alle altre e stessa cosa dicasi per le monocromatiche o ancor meglio quelle trasparenti. I giochi più diffusi con le palline erano: "papetto", "quadretto" e "pancotto". Il papetto consisteva nell'allineare in modo orizzontale un determinato numero di palline (in base alla puntata iniziale di ciascuno) e dal papetto si tirava la propria pallina a turno verso il punto più lontano rispetto alla linea delle palline stesse in modo tale che chi fosse andato più distante fosse anche il primo a "tirare". Preso la mira con la pallina tenuta tra l'indice e il pollice (qualcuno usava il medio e il pollice) e fermando il polso con il pollice ed il mignolo dell'altra mano (aperta a mo' di compasso usando appunto il pollice ed il mignolo) si tirava in direzione della fila e se "beccavi" vincevi tutte le palline situate a destra della pallina colpita (vi assicuro che è più semplice a farsi che a spiegarsi). Il quadretto consisteva nel disegnare a terra un quadrato della grandezza tale da poter contenere il numero di palline puntate dai "concorrenti" che venivano allineate in numero uguale per lato e la "meta" (colei a cui si attribuiva all'inizio un valore "X" di palline puntate) la si metteva al centro del quadrato. Allo stesso modo del papetto si tirava il più lontano possibile dal quadretto per poter essere il primo a tirare e conquistare il maggior numero di palline che venivano intascate man mano che si colpivano, ma lo scopo principale era quello di poter colpire la pallina centrale perchè era quella accreditata di maggior valore e che si poteva colpire solo quando tutte le altre erano state "abbattute", ma la particolarità era che bisognava colpirla dall'alto e cioè ci si alzava in piedi e tendendo la propria pallina tra l'indice e il pollice si cercava di colpirla così come gli aerei da bombardamento cercano di colpire il bersaglio con una bomba, questa tecnica veniva chiamata "ociali" da occhiali appunto per il modo di mirare. Il pancotto invece era il più bello, ma anche il più difficile. Per tirare si usava la stessa postura delle mani che ho descritto per il papetto. Si costruiva innanzitutto una buca (il pancotto appunto) che era la base per ottenere la vittoria finale. Si dichiarava all'inizio la quantità di palline "scommesse" e una volta fatto le "cappe" (la conta per determinare chi iniziava), ci si appostava nella buca e si tirava anche lì il più lontano possibile, ma ora lo scopo era diverso e cioè, essendo noi stessi (la nostra pallina) il bersaglio, più ci allontanavamo e più era difficile colpirci. L'ultimo a tirare (il più avantaggiato) cervava di colpire la pallina più vicina e andava avanti nel gioco usando la conta del 3 fino a 18 (3, 6, 9, 12, 15, 18) potendo carambolare sulle biglie degli altri concorrenti e finchè non sbagliava, il turno restava a lui. Sono certo che può sembrare un giochetto da nulla raccontato oggi, ma vi assicuro che ci voleva un'enorme abilità nel far 3, 6, 9, 12, 15, 18 perchè per poter continuare a tirare o si aveva la misura giusta nel non allontanarsi troppo dalla pallina colpita (la misura minima era una spanna e se si stava al di sotto si passava il turno) o si doveva usare l'effetto adeguato per avvicinarsi ad un'altra pallina (a mo' di carambola appunto). E la buca chiamata papetto che c'entra direte voi? Dunque... tra le tante difficoltà da affrontare c'era anche quella finale per poter vincere (ed ecco qui la bravura) e cioè bisognava colpire le palline facendo in modo di avvicinarsi il più possibile al "pancotto" (la buca) perchè l'ultimo tiro una volta arrivati a 18 era quello di riuscire a mandare in buca (come nel golf) la pallina e a quel punto si poteva gridare PANCOTTOOOO!!! Le cose più divertenti che ricordo con nostalgia erano le regole improvvise che si attuavano per non far vincere gli avversari: c'era il "senza buona inzocca" che significava che se la propria pallina urtava un qualcosa o un avversario si poteva ritirare, poi c'era "cicco si ritira" che significava che se la pallina scivolava dalle mani mentre si stava tirando, si poteva tirare di nuovo, ma la più furba e la più "disonesta" era quella che, in caso un avversario per bravura o per fortuna riuscisse nello stesso tiro a fare 18 e infilare la pallina in buca, tutti in coro gridavamo..... "BUCA NON VALEEEEEE!!!!!!!" I FIGURINI (Le Figurine) I giochi classici per vincere i figurini (noi le chiamavamo le "figu") erano diversi, ma descriverò solo i due più belli e dove ci passavamo intere giornate (fino al tramonto). Il "filotto" e il "punteggio" . Per prima cosa devo dire che le "piastre" (le pietre usate per i due giochi) erano di due tipi: rotonda e sottile per il filotto e quatrata e spessa per il punteggio ed erano state cercate e scelte con cura nel tempo (quella liscia, rotonda e sottile la si cercava ai bordi dei fiumi, mentre quella quadrata e spessa di solito era di marmo e la si "rimediava" nei cantieri). Il filotto consisteva nel "puntare" (scommettere) un numero "X" di figurini dei quali si faceva un "mazzetto" che si posizionava al centro della strada (tassativamente asfaltata per far scivolare la piastra) e lo si teneva in piedi, di coltello, infilandolo in un piccolo mucchietto di sabbia (poco più di un pugno) e da qui, come per le palline, si tirava la piastra il più lontano possibile per essere i primi a tirare (non era sempre un vantaggio però). Quindi a turno, dal punto più lontano, si tirava la piastra facendola scivolare il più possibile sull'asfalto in maniera tale che non facesse rimbalzi, cercando di colpire le figurine (vi assicuro che era difficilissimo al primo colpo), ma anche cercando di dare la forza giusta per essere ancora il primo a tirare successivamente perchè la piastra, una volta superato le figurine senza abbatterle, finita la sua corsa avrebbe determinato il tiro successivo in base alla distanza dalle figurine stesse. Se nessuno "abbatteva " le figurine al primo colpo, si riprendeva a tirare partendo dalla piastra più lontana, ma questa volta stando appoggiati a terra con un ginocchio (immaginate a fine giornata come erano ridotte le nostre ginocchia) e si continuava così finchè non venivano abbattute, ma era rarissimo non riuscirci al secondo tentativo. Il punteggio invece consisteva nell'appoggiare il mazzetto di figurine scommesse a terra, con la figura rivolta verso l'alto, ci si metteva in linea con le figurine e si tirava la piastra (quadrata, spessa e di solito pesante) verso un punto determinato da un palo, un albero, un muretto o una riga disegnata a terra se gli altri elementi non erano presenti e chi ci si avvicinava di più sarebbe stato anche il primo a tirare. Una volta posizionatosi davanti al punto "base" si tirava la piastra verso le figurine e chi più ci si avvicinava le vinceva. Ricordo che la cosa più buffa del punteggio è che capitava a volte di colpire le figurine di "punta" e cioè con lo spigolo delle piastre e, vuoi la pesantezza della piastra, vuoi lo spigolo appuntito, creavamo dei grossi fori sulle figurine che poi però perdevano di valore perchè nessuno voleva "attaccare" sul prorpio album delle figurine così ridotte (anche se lo facevamo spesso). A proposito dell'attaccare le figurine all'album, devo dirvi che allora era rarissimo aver in casa la famosa colla vinilica nel vasetto e noi ovviavamo a ciò facendocela con acqua e farina e con quella incollavamo le nostre "figu", ma il composto era talmente denso che l'album, una volta completato, diventava più spesso di un vocabolario!!! I GIOCHI PERICOLOSI Come tutti i bambini del tempo, anche noi facevamo giochi a dir poco pericolosi, ma che ci facevano sentire più "maturi" e impavidi. Uno di questi era quello di costruirci i "coltellini" (di cui ho parlato all'inizio) usando questa pericolosissima tecnica: si andava in un cantiere di qualche nuova casa in costruzione (rimediavamo quasi tutto nei cantieri il materiale per i nostri giochi) e si "rimediavano" dei chiodi, i più grandi possibili (più erano grandi e più il coltellino era da "sburone") e una volta in nostro possesso sapete che ci facevamo? Bhe! A pensarci oggi devo ammettere che erano cose da non fare assolutamente, ma con la spavalderia dell'epoca era cosa di semplice routine per noi. Dunque, ci avvicinavamo alle rotaie del treno (arrampicandoci sul "ghiaione" della ferrovia) e appoggiavamo sui binari in senso verticale i nostri chiodi aspettando che il treno passasse e li schiacciasse rendendoli piatti e appuntiti e il vero pericolo consisteva nel fatto che per poter vedere bene dove sarebbero saltati una volta passato il treno, noi ci appostavamo sdraiati sul "ghiaione" a pochi passi dai binari per non perdere di vista i nostri "preziosi" chiodi. Altro gioco pericolosissimo era quello che facevamo col "potassio"; praticamente c'era sempre qualcuno di noi che aveva un fratello o un "amico" più grande che andasse in farmacia a comprare le pasticche di potassio che noi, una volta triturate le rendavamo in polvere per poi miscelarle con un composto fatto di polvere pirica e polvere da sparo e ottenere così una micidiale mistura esplosiva. Normalmente lo usavamo in questo modo: si prendeva un pizzico di polvere e lo si metteva a terra, ci si appoggiava sopra un ciottolo della dimensione di una "vecchia" 100 lire e quindi ci si saliva sopra appoggiando il tacco di una scarpa sul ciottolo e con l'altra scarpa si dava un colpo secco sul tacco per far esplodere il "potassio" (quanti tacchi volati via, quanti talloni bruciacchiati e quante "botte" prese dai genitori!!!). Ma il culmine della pericolosità lo raggiungemmo quando ad uno di noi venne la brillante idea di costruirsi i candelotti esplosivi: si "rimediavano" dei tubi di alluminio o di acciaio (quelli usati dagli idraulici erano perfetti), si tappava un'estremità con un tappo di sughero e dall'altra estremità si faceva scivolare all'interno la "miscela" esplosiva, poi si tappava anche qui con un pò di argilla e ci si infilava una miccia fatta con un cordino inbevuto nell'olio d'oliva......il resto ve lo lascio immaginare!!! Altro gioco pericoloso era quello che facevamo con le "ceribottane" (cerbottane) e consisteva nel fare le battaglie tra due squadre sparandosi i "piruli" (proiettili conici di carta), ma a noi non bastava più farlo con i piruli normali, quindi avemmo la bella idea di inserire nella punta del "pirulo" uno spillo (di quelli da sarta) e vi assicuro che non era tanto gradevole quando te ne ritrovavi uno conficcato nella pelle (c'è anche qualcuno che se lo è beccato in un occhio, ma nulla di serio). Altri giochi pericolosi erano quelli di "iniziazione" o quelli per stabilire una certa gerarchia nel gruppo ed erano i seguenti: uno di questi (iniziazione di un nuovo componente del gruppo) era quello di saltare dal primo o dal secondo piano di una casa in costruzione sul mucchio di sabbia sottostante che i muratori avevano ammassato vicino alla betumiera per fare la calce.....quante ginocchiate in bocca si prendevano a fare quei salti!!! Una cosa che si faceva per determinare una certa gerarchia nel nostro gruppo consisteva nell'andare in spiaggia con le nostre "bici" e qui salire sulla prima cabina (mentre gli altri ti issavano la bici), quindi si inforcava la bicicletta e si cominciava a pedalare velocemente per percorrere tutta la fila della cabine e poi saltare dall'ultima sulla sabbia e credetemi che sono davvero tante le volte che ci si faceva male, come male si fecero due di noi (uno in coma per circa 10 giorni e l'altro con entrambe le braccia rotte) quando decidemmo di farci la discesa di San Martino Montelabbate (circa un chilometro di pendenza al 15%) con le biciclette senza freni e frenando (quasi impossibile) solo con le suole delle scarpe strisciate a terra, ma il problema è che alla fine della discesa c'è una curva stretta che i due non riuscirono certo a percorrere e continuando in linea retta volarono sui filiari delle viti (spezzando col corpo i fili di ferro che li uniscono) e mentre uno si piantò di testa nel terreno argilloso, l'altro "abbracciò" letteralmente una grossa pianta di olmo! LA FOGARACCIA (Il falò che si fa da noi la notte di San Giuseppe) Il "fuocone" più grande del circondario è sempre stato quello che facevamo noi al "campino" e per crearlo non si poteva fare a meno di commettere i soliti "furtarelli". "Rimediavamo" una quantità enorme di fascine dai vari contadini locali, si abbatteva un albero che fungeva da fusto centrale e per tenerlo ritto lo infilavamo in una miriade di copertoni (sia di camion che di auto) che ovviamente "rimediavamo" dai meccanici del posto e dal deposito "Bonelli" situato vicino all'aereoporto, quindi aggiungevamo tutti gli scarti di legna presi sempre dai cantieri e qualche volta anche qualche traversino in legno pieno depositato accanto alla ferrovia, ma la cosa più assurda era quella di andare di notte nei cimiteri a "rimediare" le enormi corone di alloro che immancabilmente sfasciavamo la mattina presto per celarne la forma. Il periodo della preparazione della fogaraccia durava anche alcuni mesi (a volte si cominciava a novembre per rimediare il materiale) e la "cadascia" (la catasta di legno) era pronta più o meno nei giorni successivi al Festival di Sanremo e ricordo con nostaglia che tutte le sere ci riunivamo attorno alla cadascia (per sorvegliare che nessuno delle compagnie limitrove ci desse fuoco per dispetto o per invidia) e cantavamo a squarciagola tutte le canzoni, rimaste impresse, del festival fino alle 22/23. IL METEO DELL'EPOCA Tra i vari ricordi come dimenticarsi dell'uragano del '63, della super nevicata del '66 e del ciclone del 75? Cominciando dal primo, ricordo che nel mese di giugno di quell'anno mio nonno guardando il cielo, che era completamente terso, si accorse di alcune nuvole enormi, dense e bianchissime che si scorgevano all'orizzonte in direzione mare e disse:"....è un brutto segno!". Di lì a poco (circa un'ora) il cielo si fece spaventosamente nero fuliggine, il sole si oscurò e rimanemmo quasi completemente al buio come per un'eclissi solare, il vento cominciò ad investirci con forza e da tutte la case si sentivano le madri gridare i nomi dei propri figli per farli rientrare. Mia madre ci barricò in casa e piangendo continuava a nominare mio padre che in quel momento era fuori con l'auto e, non essendoci come oggi i cellulari, era impossibile comunicare con lui e sapere dove si trovasse. Cominciò a diluviare in maniera spaventosa e all'esterno si sentivano i vari oggetti scagliarsi contro le case trasportati dall'impetuosità del vento e della pioggia. Saltò la luce e rimanemmo completamente al buio e mia madre per farci coraggio ci suggerì di cercare in casa delle candele. All'improvviso sentimo picchiare con violenza sulla porta dell'uscio di casa e pensavamo fossero gli oggetti trascinati dal vento, quindi mia madre, vedendoci spaventati, decise giustamente di infilarci sotto le coperte per darci così una sorte di protezione. I colpi continuarono sulla porta fino a quando, all'improvviso, si senti urlare forte il nome di mia madre che capì che i colpi sulla porta erano dati da mio padre che cercava di entrare. Non vi dico la gioia di tutti noi nel vederlo entrare in casa anche se bagnato come un pulcino caduto in mare da un transatlantico, ma nonostante le lacrime di gioia di mia madre la nostra paura non cessava. Fu davvero una notte buia e tempestosa come quella di certe storielle, ma passò e la mattina dopo ci risvegliammo con una giornata di sole merviglioso e con enorme stupore ci accorgemmo che in strada c'erano oltre 50 cm d'acqua ed era acqua di mare (fu un uragano marino che sommerse tutto il litorale). Di quei giorni ricordo come l'incoscenza (giusta) di noi bambini ci permise di giocare anche con quel "dramma"; ricordo infatti che giocavamo ai pirati navigando nell'acqua alta su dei tavoli di legno rovesciati che fungevano da navi. Qualche giorno dopo venimmo a sapere che il lago di Fiabilandia (all'epoca il parco non era ancora stato realizzato) era straripato e che si trovavano tantissimi pesci nelle pozzanghere limitrofe, quindi ci munimmo di bidoncini e li riempimmo di pesci per farci un piccolo acquario. Altro episodio memorabile a livello meteo fu l'abbondante nevicata del '66. Ricordo che la neve era talmente alta (si parlò allora di circa un metro e mezzo) che per giorni non potemmo uscire di casa finchè il comune di Rimini non inviava dalle nostre parti gli spazzaneve (all'epoca ce n'erano davvero pochi) e quando finalmente arrivarono, ammassarono una montagna enorme di neve ai bordi bella ferrovia. Fu davvero uno dei momenti più belli della nostra infanzia quando ci ritrovammo quella montagna di neve su cui potemmo "sguillare" (scivolare) per giorni e giorni. L'ultimo avvenimento meteo che vorrei citare fu il ciclone che ci colpì nel '75 quando il vento era così forte che (racconto fatto dai bagnini) si vedevano le fioriere di cemento scivolare sul lungomare come fossero di plastica, trovarono gli ombrelloni conficcati nelle cabine di cemento e addirittura un "moscone" (il pattino) volato sul terzo piano di un albergo. Quello che ricordo bene furono i palombari chiamati dagli albergatori per estrarre le auto parcheggiate nei garages sotterranei (all'epoca la maggior parte degli alberghi avevano i garages sotterranei) e le finestre sfondate dal vento alla Locanda del Lupo dove ci recammo subito per sistemare il tutto per l'apertura serale (non si poteva tenere chiuso in piena estate). PERSONAGGI STORICI Come in tutte le cittadine e i paesi che si rispettino, anche da noi al Villaggio c'erano i personaggi caratteristici di cui è impossibile non parlarne. La prima che citerò è la "lupinaia", una vecchietta arzilla che la domenica pomeriggio transitava nel Villaggio pedalando sul suo carretto a tre ruote e trascinando con sè tutte le leccornìe per noi bambini che già dalla mattina avevamo preso la paghetta da spendere dalla lupinaia. Il carretto era sempre ricolmo di "fusaia"(noccioline, sementine, castagne secche, ecc...) e di "luverie" (liquirizie, caramelle, croccanti, ecc....). Per la storia amo ricordare alcuni prodotti che si potevano trovare all'interno del carretto: comincerò con il gelato di meringa da £.10 che conteneva all'interno una piccolissima sorpresa, poi c'erano le carrube (£.10 l'una), le liquirizie arrotolate e quelle lunghe (io adoravo quelle lunghe perchè le usavo da cannuccia con la gassosa), le caramelle a forma di mora (altro che le Morositas!!!), quelle all'orzo e le mou al latte tutte rigorosamente al modico prezzo di £.5, c'erano le "cicche" (gomme da masticare) quelle rosa dolcissime con cui facevi delle bolle enormi (£.10) e all'interno c'era un tatoo che noi applicavamo sul braccio umettandolo prima e poi appoggiandoci sopra la figurina, ma la cosa indimenticabile è sicuramente la "bumba" che era un biberon con un liquido dolcissimo giallo o arancione e che era il più ambito da noi, ma anche il più caro (£.20). Altro personaggio storico era la vongolaia che passava tutti i venerdì al grido di:"...AL PURAZI DONIIIII!!!!!". Un altro che ricordo perfettamente era "Paolino" un ragazzo semplice di quelli che trovi in tutti i paesi e che vengono definiti (a torto) "lo scemo del villaggio". Quello che ricordo bene di lui è che adorava fare lo spazzino e girava tutto il giorno (chilometri e chilometri) spazzando le strade e raccogliendo ogni cosa che facesse disordine e se qualche donna gli rivolgeva la parola, lui, che di solito era taciturno, gli esclamava:"...Signora...te ce l'hai le mutande?". Poi c'erano i "strazer" (i robivecchi), il primo che ricordo era un signore dai modi gentili che costretto su di una sedia a rotelle, si faceva trainare dai suoi 4 cani raccogliendo le ferraglie per poter sfamare lui e i suoi cani (tante volte ho visto mia madre donare del pane per i suoi cani), l'altro invece era di tutt'altra fattura (grande e grosso) e girava con un 'APE raccogliendo: ferro, rame, ottone, zinco e quant'altro, ma che a differenza del primo, ti pagava in contanti dopo aver pesato sulla sua stadera (ti fregava sempre) il materiale da comprare. Proseguendo, come non ricordarsi della "Isolina", un donnone enorme con sembianze maschili che trascinava tutto il giorno un carretto a mano pesantissimo e carico di frutta e verdura che vendeva casa per casa, noi bambini ne avevamo un terrore folle perchè ci raccontavano (le solite fandonie per i bimbi) che se ci "beccava" ci avrebbe ucciso e ne avrebbe fatto del sapone. Infine cito alcuni dei soprannomi che circolavano a quei tempi: "Quadrilein" (che era il contadino che possedeva l'appezzamento di terra più grande dei dintorni), "Cibischin" (il nostro amatissimo tabaccaio dove compravamo dalle figurine ai dolci), la "Minghina" e tanti altri che col passar del tempo si sono via via cancellati dalla mia memoria, ma che resusciterò appena qualche avvenimento, qualche odore o qualche sapore li farà riemergere, riaprendo quei "cassetti della memoria" di cui ora non trovo le chiavi.....Ed ora, approfittando di questo blog, vorrei mandare un affettuoso saluto a tutti i miei amici d'infanzia e dell'adolescenza del Villaggio Nuovo alcuni dei quali citerò con il soprannome con cui lo chiamavamo tutti (un abbraccio particolare a quelli che ora ci guardano con tenerezza dal Paradiso): Veniero, Claudio, Paolina, Gino, Eva, Lucio, Paolino, Davide, Faliero, Bruno, Flavio, Paolo, Aldo, Micio, Giorgio, Mezzavirgola, Franco, Minghino, Picio, Gianni, Lalo, Francesino, Rita, Arrigo, Alfio, Fabio, Nevia, Paolone, Augusto, Sergio, Stefano, Daniele, Angelo, Caco, Fabio, Tonino, Giacomo, Nello, Maurizio, Massimo, Nevio, Fulvio, Ivano, Micia, Edo, Loris, Livio, Fefi, Martino, Marinella, Ciccio, Brunone. Chiedo scusa a tutti coloro che ho omesso, ma la vecchiaia incombe e la memoria svanisce sempre più!

domenica 4 gennaio 2009

La "Locanda del Lupo"

La Locanda del Lupo del signor Gianfranco Mulazzani e' stato uno dei locali piu' in voga e frequentati degli anni 60/70 (arrivava a contenere anche 3/4 mila persone). Fu il locale che lancio' Al Bano e fece conoscere alla gente Renato Zero che si presento' agli inizi degli anni '70 con un paio di ballerine, un Revox (registratore a bobine) e un vistoso completino rosso fuoco! C'erano si e no un centinaio di persone a vederlo, ma si rifece alla grande quando torno' nel '76 con l'album "Trapezio" e ancor di piu' nel '77 con"Zerofobia", ricordo infatti che dovemmo chiudere l'ingresso e far entrare a gruppi di 10/20 persone per volta per evitare lo "straripamento"! Per gli artisti "passare" dalla "Locanda" (come la chiamavamo noi) era il miglior trampolino di lancio per presentare l'album del momento, ricordo per esempio nel '73 i Pooh che presentarono l'album "Parsifal". Sono tanti i nomi che sono passati dalla "Locanda" tra cui Celentano, Cocciante, Marcella Bella, I Matia Bazar, ecc...ecc.... Ricordo pure degli interventi radiofonici fatti dal locale, uno dei quali era presentato da Jocelin e un altro ancora da Claudio Lippi (che all'epoca era conosciuto come cantante)! La prima vera ristrutturazione del locale fu fatta nel '76 quando comincio' in riviera la moda dell'esotico e la "Locanda" stando al passo con i tempi si presento'ai clienti con una veste davvero caraibica: i divani erano ricoperti di iuta con loghi di caffe', rum e prodotti esotici, dal soffitto si calavano delle enormi farfallone di tessuto e le piste da ballo erano in acciaio inox contornate da luci ammalianti. Il bar era situato in un angolo e tutto intorno c'erano dei grossi cilindri neri che fungevano da tavolino e sopra di essi delle lampade colorate (di quelle fatte col vetro soffiato e dipinto) e appoggiati ad una parete vi erano alcuni videogiochi (erano i primi a vedersi in Italia) e manco a dirsi si trattavano del mitico "Space Invader" e del "Pac-man". Il DJ era Gigi Mulazzani che, come era di rigore all'epoca, oltre a "piazzare" i dischi sui piatti (rigorosamente Thorens TD124) faceva pure da speaker presentando i dischi di volta in volta. Come si usava allora il DJ si alternava con i "gruppi" (i complessi musicali) e alla Locanda il "gruppo" che ando' per la maggiore era quello dei Caelestium, un complesso davvero bravo e trascinante (incisero un disco del loro successo "Sotto la pioggia"). La cosa che penso manchi nei locali di oggi sono i mitici "lenti" che fungevano da vero espediente per poter "rimorchiare" qualche bella fanciulla e alla "Locanda" l'atmosfera diventava davvero magica quando si ascoltava Louis Amstrong, Frank Sinatra, Santana e i cantanti italiani in voga al tempo! La pubblicita' del locale la si faceva in spiaggia vestendosi da pagliacci e le ragazze da bamboline e non vi dico che sudate con quegli abiti addosso! Fu proprio qui, alla Locanda del Lupo, che imparai ad usare le luci come “lightJay” e feci pure una serata memorabile come DJ nel Capodanno del 1977. Purtroppo gli anni correvano veloci e la moda cambiava costantemente e quindi pure la "Locanda del Lupo" vide la sua fine, ma come un'araba fenice risorse dalle proprie ceneri con un nuovo look e anche con un nuovo nome: "NEW YORK"! Penso che chiunque sia venuto in riviera in quegli anni non possa non essere entrato almeno una volta nella mitica "Locanda del Lupo" e non abbia dei teneri ricordi!

Discoteca "New York"

Come avevo gia' detto, dalle ceneri della "Locanda del Lupo" di Miramare di Rimini, nacque il "New York". Per l'epoca (1979) era una discoteca davvero all'avanguardia visto la tecnologia applicata ad ogni parte della struttura: 10.000 watt di audio e luci supertecnologiche con consolle DJ composta da tre piatti Thorens TD125 con bracci Stanton e testine Shure. Sulle facciate dell'ingresso c'era dipinta la citta' di New York mentre all'interno facevano bella mostra di se' grosse colonne a specchi, cilindri e sfere (sempre con specchietti) e un grande pannello (a sinistra della cabina DJ) con tante lampadine comandate da una centralina elettronica che creava effetti luminosi da capogiro. Per l'inaugurazione ci si "servi'" dei DJ Mozart, Rubens, Jano e l'appoggio dell'allora DJ in erba Peri (fratello del propetario Gianluigi Mulazzani). Per creare un'atmosfera magica ed avvinghiante fu noleggiato (per la prima serata) un laser con tanto di ingegneri che lo controllavano, pensate che mentre oggi un laser lo si puo' trovare addirittura in una penna, allora era uno strumento enorme e complicatissimo oltre che pericoloso (intorno al laser fu messa una recinzione con catene per un raggio di 4 metri per evitare ustioni). Ore 21,30, nel locale si fa buio completamente e dal primo "piatto" partono le note di Brown Rice di Don Cherry, si comincia a sentire l'odore acre proveniene dalle macchine del fumo quando all'improvviso si accende il laser che puntato sulla grossa sfera centrale a specchi riflette il raggio stesso su tutto cio' che era a specchi facendo esplodere il locale di migliaia di raggi verde acqua e creando un effetto davvero unico e strabiliante. Il volume della musica (i primi funky) aumenta sempre di piu' e dopo un silenzio generale (a parte la musica) si solleva un boato generato dai ragazzi che dopo lo stupore iniziale vengono via via trascinati in quella atmosfera magica fino a farli letteralmente "sballare" (nel vero senso buono della parola). Purtroppo la moda dell'epoca non era tollerata dalla gente "comune" e ancor meno la vita dei giovani (i ragazzi venivano chiamati "esauriti") che vivevano come gli hippyes degli anni '60 stazionando e bivaccando dove capitava (molti di loro dormivano sui marciapiedi fuori dal locale) ed essendo il New York a ridosso della spiaggia il loro riunirsi tutto il giorno con i loro stereo a "manetta" comincio' a creare scompiglio con i gestori di alberghi e ristoranti del luogo fino a costringerli a servirsi delle forze dell'ordine. Ricordo che l'atmosfera era talmente tesa che un giorno ci fu una carica dei carabinieri con conseguenze davvero drammatiche (la sera stessa dopo il raid delle forze dell'ordine fu incendiata un'automobile che fu spinta verso la caserma dei carabinieri). Anche i media cominciarono ad interessarsi del fenomeno e per sedare completamente questa specie di "rivoluzione" giovanile pensarono "bene" (secondo loro) che chiudendo il New York avrebbero sgominato gli "esauriti", in realta' non fecero altro che danneggiare il proprietario del locale che dopo un oneroso investimento si vide "sigillare" quello che poteva diventare un vero mito dopo la Baia (che nel frattempo cambio' gestione). E gli "esauriti"? Se ne andarono? Macche', si spostarono semplicemente da Miramare a Riccione al Columbus (bar sul mare in fondo a Viale Ceccarini) continuando con i loro stereo portatili, i loro jeans sdruciti e la tanta voglia di vivere quegli anni con quella ribellione che ogni due o tre generazioni si affaccia per un attimo per poi spegnersi come un fuoco di paglia!

La "Baia degli Angeli"

Narra la leggenda che……. un ragazzotto dell'epoca (Giancarlo Tirotti)…innamoratosi di un locale visto a Rio de Janeiro, ebbe la brillante idea di costruirne uno simile sulla riviera marchigiana e precisamente a Gabicce monte (ai confini con la Romagna). Era certamente il luogo più indicato, vista la posizione a strapiombo sul mare, per poter edificare un locale da sogno che diventerà la "Leggenda" nell'Italia dell'epoca! Nel '74 "La Baia" era un club privè dove potevano entrare solo i tesserati, ma dal '75, quando si aprirono i cancelli al "pubblico", iniziò il vero mito di questo meraviglioso locale che farà impazzire letteralmente tutta la mia generazione e quella dopo! IL LOCALE (Descriverò esclusivamente la parte "notturna" e cioè quella riguardante maggiormente la discoteca……..) Dopo aver salito una larghissima scalinata bianca che via via andava stringendosi, si veniva immediatamente invasi dall'atmosfera fatta di luci e suoni avvinghianti e teneramente "caldi"! La cassa era situata all'ingresso ed era composta da una bancarella da mercato con tanto di tenda bianca e splendide ragazze (non vi era necessità dei buttafuori allora!). …Entrando a sinistra ci si trovava di fronte ad una enorme scalinata piena di bancarelle che fungevano da postazioni per la ristorazione (vi era un ristorante all'interno) e ci si poteva tranquillamente sedere e consumare la cena (chiaramente a pagamento). Alla fine della scalinata vi era un enorme spiazzale coperto da materassoni su cui vi erano adagiati degli enormi cuscini bianchi dove ci si poteva sdraiare in gruppo e ascoltare la musica oppure ci si appartava in dolce compagnia….(bhe! penso si capisca)! Tornando indietro verso la cassa e prendendo la direzione opposta la prima cosa che ci si trovava di fronte era una piccola pista da ballo contornata dai già citati cuscinoni bianchi e dietro alla stessa una piscina nascosta da una scenografia fantastica! Proseguendo e salendo le scale (ricoperte e contornate da grossi vasi fioriti) si arrivava nel "cuore" del locale e cioè nell'enorme piscina circondata da 2 grosse piste da ballo, mentre più in là sopra una parete alta vi si trovavano 2 lunghi binari su cui girava una gigantesca ruota fatta di specchi e lenti convesse che riflettevano un potente faro che, puntato sulla ruota stessa, proiettava nel mare sottostante una palla di luce fortissima creando l'illusione del sole che sorgeva! All'estremità della mega-pista, verso l'esterno, si poteva vedere la cabina DJ situata in un ascensore che la faceva salire e scendere coreograficamente mentre su di un braccio meccanico era piazzato un potente faro azzurro ghiaccio che proiettava luce in direzione di Riccione (quando salivamo da Rimini quella luce ti indicava la direzione e la distanza). Nella cabina DJ c'erano i mitici Bob e Tom che "suonavano" le novità che portavano dagli States, dove si recavano puntualmente ogni 15 giorni! Mentre nel '77/ '78 i DJ erano Claudio Rispoli (Mozart) e Daniele Baldelli. Continuando la nostra visita virtuale, troviamo in fondo a destra della pista la stanza più straordinaria e allo stesso tempo più semplice che abbia mai visto..... si trattava di una sorta di sala lunga e stretta completamente bianca con ai lati delle panchine in legno bianco dove (credevamo noi) ci si potesse isolare dal mondo reale e fantasticare. Attenzione!... la droga non era ancora arrivata in riviera se non sotto forma di spinelli, ma a noi bastava quel senso di libertà e quel tipo di musica per "sballare"! Ah!.. Dimenticavo...All'interno del locale vi era pure un negozietto lo "Happy Fashion" dove potevi acquistare i vari gadgets del locale e per chi veniva da fuori zona era come portarsi a casa un pezzo della "Baia" di valore inestimabile all'epoca! Nel '79 la "Baia" chiuse e riaprì qualche tempo dopo con il nome di... "Nepentha, l'angelo della baia", ma non era più lo stesso locale e non c'erano più gli stessi sapori e tutto intorno stava cambiando, dalla musica alla moda e alla vita stessa! Una delle sensazioni che più mi è entrata sottopelle come un marchio, è quando sentimmo per la prima volta in riviera "Don't let me be misunderstood" di Leroy Gomez (Santa Esmeralda), impazzimmo letteralmente tutti mentre venivamo ricoperti da migliaia di bolle di sapone! Tra le varie feste a cui ho partecipato, quella che più mi è rimasta impressa fu un ultimo dell'anno dove dalla Baia si sollevò un'enorme mongolfiera da cui vennero lanciati migliaia di gadgets del locale.. C'era già nell'aria la senzazione che sarebbe stato l'ultimo anno della Baia e così fu!